Scritto da Gianfranco Di Mare, Ingegnere delle Performance, sappiamo che nella storia dello sport, tutti gli atleti hanno fatto il possibile per migliorare il loro rendimento e ridurre la fatica, proprio come farebbe qualsiasi persona nel suo lavoro quotidiano.
Nel periodo precedente agli anni ’40, anche in Italia, era normale per gli atleti assumere stimolanti per migliorare le loro prestazioni, soprattutto nel ciclismo, un sport particolarmente esigente. Tuttavia, l’uso eccessivo di tali sostanze in combinazione con temperature elevate o disidratazione estrema spesso provocava crolli fisici.
Un esempio famoso è quello di Dorando Pietri nella maratona delle Olimpiadi di Londra del 1908.
Il doping in Italia ha iniziato a essere combattuto ufficialmente nel 1954, mentre ai Giochi Olimpici di Tokyo del 1964 è iniziata la pratica sistematica di testing sugli atleti.
Ma ti sei mai chiesto perché siamo così contrari al doping? È diventata un’ossessione grandissima, al punto da confonderci su cosa rappresenti realmente. Secondo il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), doping è l’assunzione di sostanze o l’uso di metodi che possono alterare artificialmente le prestazioni sportive.
Questo pone un problema, perché le leggi richiedono regole non ambigue e precise. Se bere tre caffè non è considerato doping, bere dieci lo è. Ma cosa accade se se ne bevono otto?
Un tempo, anche allenarsi “troppo” era considerato antisportivo. Un esempio è John Kelly, padre dell’attrice Grace Kelly e futuro Principe di Monaco, che fu invitato a non partecipare alla Coppa Diamond perché lavorando come muratore nelle sue vacanze, si fortificava in modo non convenzionale.
Oggi, le regole sono cambiate, e ciò che viene visto come lecito o illecito è cambiato di conseguenza. Roberto Quaglia, nella sua rubrica Pensiero Stocastico, definisce l’atteggiamento attuale verso il doping come “una moda culturale”.
Continuiamo a discutere di questo argomento domani.
(Immagine gentilmente concessa da wsi.tum.de)