di Gianfranco Di Mare
Ingegnere Delle Prestazioni
C’era un’epoca in cui si pensava che l’uomo, in pochi secoli, si sarebbe trasformato in un piccolo essere senza muscoli o capelli, con pochi denti e un aspetto alieneo. Questo perché, con l’evoluzione della scienza, si era creduto che avrebbe perso tutte quelle “necessità animali” che, attraverso la selezione darwiniana, avevano contribuito a mantenere un apparato masticatorio e altre esigenze vitali.
Si credeva che un giorno avremmo mangiato solo pillole che contenevano tutte le necessità nutrizionali, emancipandoci dalla schiavitù degli alimenti. Per fortuna, questo scenario terrificante non sembra mai destinato a diventare realtà.
Il mito degli supplementi (minerali e vitamine), tuttavia, nonostante non sia più così popolare, è tutt’altro che totalmente dimenticato. Gli integratori multivitaminici e multiminerali hanno ancora un seguace, e continuano a vendere.
Fortunatamente, sempre più nutrizionisti e medici stanno iniziando a affermare che non è lo stesso ottenere una vitamina da un vegetale o da una pillola. Ho apprezzato particolarmente la puntata di Elisir di domenica scorsa, in cui una brillante Caterina Canavese ha finalmente detto chiaramente come stanno le cose: ad un padre che chiedeva telefonicamente quali supplementi potesse dare alla figlia che non consumava frutta e verdura, la dottoressa (Professore di Nefrologia presso l’Università di Torino) ha risposto che avrebbe fatto meglio a cercare piuttosto cibi che piacessero alla ragazza. Complimenti per il coraggio mostrato!
Ora disponiamo di studi più recenti e più precisi che dimostrano come una vitamina presa in una capsula, isolata dal suo contesto energetico originale, spesso finisce per avere una biodisponibilità e un effetto sul corpo quasi nullo. È ora di abbandonare, senza rimpianti, il mito della pillola dell’astronauta. Se assumessimo ogni mattina dieci capsule di tutti gli aminoacidi essenziali, una mega pillola con tutte le vitamine, un sacchetto con tutti i minerali, un pacchetto di zuccherini, 50 grammi di fibra vegetale, un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, dieci compresse di lipidi e due litri d’acqua, o anche se li prendessimo tre volte al giorno, la nostra salute e il nostro umore peggiorerebbero inesorabilmente.
Si sta iniziando ad ammettere che le alte dosi di vitamine suggerite ed esaltate negli anni ’70 e ’80 non solo – nella maggior parte dei casi – non hanno portato ai risultati (preventivi o curativi) desiderati, ma hanno spesso causato problemi.
“Ma”, potreste dire, “non erano quelle pillole di amminoacidi, vitamine, sali minerali sostenute da altre ricerche, altrettanto serie ed ufficiali?” Sfortunatamente si. Con le statistiche, ricordate, si può dimostrare qualsiasi cosa. Se vi interessa, dare un’occhiata a l’aneddoto dello scienziato e della pulce o a questa intrigante ricerca che mette in correlazione i pirati con il riscaldamento globale. Ovviamente è un umorismo grottesco, ma come ricercatore posso assicurarvi che è molto facile impostare una ricerca (o interpretarne i risultati) in modo fuorviante, soprattutto se si sa già dove si vuole arrivare.
Ogni cibo ha la sua specifica energia; ogni amminoacido, proteina, ogni molecola ha il suo significato perché si trova in quel contesto (vegetale o animale) e non in un altro: mangiare del cavolo non è come mangiare delle zucchine; i fluidi del cavolfiore agiscono nel corpo in modo differente rispetto a quelli della lattuga; il calcio del latte non nutre le ossa allo stesso modo del calcio dei semi di sesamo. Questo è uno dei motivi per cui la nutrizione è una scienza affascinante, e perché mangiare un’ampia varietà di alimenti freschi è uno dei segreti per la qualità della nostra vita, per l’ottimismo e per il nostro benessere.
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